Il monastero visto da Tramonte

La lezione (senza tempo) dei monaci

L’Abbazia di Praglia è una “macchina di sguardi”, uno scrigno di
pace, preghiera e bellezza che non si impone ma si affaccia e ben si
adatta al paesaggio circostante. Monastero dalla storia quasi
millenaria, Praglia sorge ai piedi dei Colli Euganei e si pone al centro
di visuali variabili, occupando una posizione strategica in un
paesaggio fisico e spirituale in cui lo spazio entra in relazione col
tempo e la vita del monaco diventa forma visibile sul territorio. Armonia
è la parola perfetta per descrivere la relazione felice con la natura,
un modello che anche oggi può (e deve) essere letto come guida nella
ricerca di un equilibrio tra architettura e paesaggio. Una visita al
monastero è prima di tutto un’esperienza che svela questa relazione
autentica, evidenziando il dialogo organico tra spazi interni ed
esterni: un modello che ci invita a riconsiderare le responsabilità
dell’uomo nell’intervento sul paesaggio. L’attenzione
si sposta, così, sulla lezione senza tempo dei monaci, sul loro modo di
impostare la vita comunitaria e progettare il territorio, partendo
proprio dalla Regola di San Benedetto.
Ah, domata qual voi l’agra natura, pari alla vostra il ciel mi dia ventura e in armonie pur io possa compormi. In Notificazione di presenza sui Colli Euganei
il poeta Andrea Zanzotto si augurava di riuscire a trovare una calma
armoniosa, affiancando a questo desiderio la descrizione del paesaggio
come specchio dell’anima. Ed è stato proprio l’ultimo verso di quella
poesia a ispirare Armonie composte, il recente ciclo di
seminari intorno al paesaggio monastico, curato da Gianmario Guidarelli
ed Elena Svalduz, storici dell’architettura dell’università di Padova.
Una tre giorni ospitata dal centro convegni dell’Abbazia di Praglia, che
ha accolto giovani studiosi da tutta Europa avviando una riflessione e
un confronto fruttuoso sulle modalità con cui il pensiero e la
tradizione benedettina possano rappresentare ancora oggi un modello
utile ed efficace per pensare o ripensare il rapporto tra architettura e
paesaggio, affrontando le sfide imposte dalle attuali trasformazioni
del territorio e dal degrado che spesso ne consegue.“Il monastero di
Praglia fino al XV secolo era un piccolo complesso formato da un
chiostro arroccato su uno sperone roccioso, da cui controllava il
territorio circostante – spiegano Svalduz e Guidarelli – Con la
ricostruzione, che si prolunga dal XV al XVII secolo, il nuovo monastero
si ingrandisce considerevolmente, con i quattro chiostri che si
sviluppano a ventaglio attorno alla roccia, protetti e incastonati nei
colli circostanti. Ogni chiostro, con le diverse quote da cui osservare
l’orizzonte e con le numerosi visuali che aprono alla contemplazione del
paesaggio diventa così una vera e propria macchina di sguardi. Una
macchina che registra anche il variare del tempo, con la luce solare che
varia nel corso dell’anno e il paesaggio agrario che muta con il ciclo
delle stagioni”.
Viene dunque da chiedersi come si possa tradurre
oggi una eredità così preziosa, una progettazione così armoniosa e in
viva relazione con il territorio. Il pensiero raggiunge naturalmente la
lezione di Frank Lloyd Wright e quell’idea di architettura organica che
ha posto al centro la relazione tra uomo, spazio architettonico e
natura. Un esempio ma non il solo, perché come vedremo le felici prove
contemporanee non mancano e sono proiettate verso la risoluzione di
problematiche di stringente attualità. “La lezione dei monaci è nello
stesso tempo una sollecitazione alla essenzialità e alla compiutezza,
all’uso equilibrato delle risorse naturali ma anche alla speranza nelle
risorse della vita. La relazione tra architettura e paesaggio è, in
sostanza, l’equilibrio tra la dimensione personale e quella comunitaria
del monastero; un equilibrio proiettato alla scala del territorio e
concretizzato nell’attività agricola. Se il paesaggio è l’approccio
visivo al territorio e se il progetto tende a rendere palesi le
contraddizioni del territorio, allora il progetto, cioè l’architettura, è
lo strumento essenziale per governare il nostro approccio visuale e
fisico al territorio e per gestire la nostra capacità di realizzare e
conservare il suo valore paesaggistico”. E Svalduz continua: “Questa
dialettica tra progetto e storia si gioca più nell’ambito delle tensioni
che in quello dell’equilibrio; una dimensione costante nel tempo che
l’approccio monastico, la cui vita è regolata dalla liturgia delle ore,
proietta sia sul tempo della singola giornata che in quello dei secoli.
L’architettura contemporanea, come dimostrato da alcuni casi esposti nel
seminario, ha tutte le potenzialità per instaurare questa relazione tra
la dimensione dello spazio e quella del paesaggio, solo, però, se si
misura con tutte le contraddizioni e la fatica della prassi
progettuale”.
Per Mauro Maccarinelli – cellerario e curatore, con
Chiara Ceschi e Paola Vettore Ferraro, di una recente monografia che
ripercorre i nove secoli di storia dell’Abbazia di Praglia – la gestione
del territorio risulta essere parte integrante della vita del monaco:
il rispetto della natura e l’equilibrio delle risorse sono concetti
insiti nella Regola benedettina. Una riflessione esaltata e resa attuale
dalle parole dell’architetto Simone Sfriso, architetto di TAMassociati e
relatore al seminario, per cui anche oggi è possibile e necessario
puntare all’essenziale e alla bellezza come naturale esito delle buone
pratiche di progettazione. Quest’anno il Padiglione Italia Taking care, progettare per il bene comune della
15esima Mostra internazionale di architettura della Biennale di Venezia
(28 maggio-27 novembre 2016), curato proprio dallo studio TAMassociati,
mette al centro un’idea di architettura come cura degli spazi e delle
persone e in grado di diffondere una rinnovata cultura dell’armonia e
della condivisione, privilegiando la riduzione del superfluo e la
creazione di valore aggiunto, ottimizzando costi, efficienza e riuso.
Una visione che ben si sposa con la lezione dei monaci, fondata sui
principi della comunità e del dialogo con il territorio, che invita a
immaginare un futuro migliore, sostenibile e al servizio del bene
comune.

Francesca Boccaletto

(articolo apparso su “Il Bo, il giornale dell’Università degli studi di Padova” il 27 maggio 2016)